Gabrielle è una studentessa universitaria e Claud è un barman malinconico. Si incontrano per un caso fatale e si scoprono braccati da tre animali giganti, comandati da una ragazza, una bambina e una megera. Quando tutto sembra perduto, vengono salvati da una sorta di templare egizio che li identifica come incarnazioni di due divinità antichissime.
Anche se sembra tutto incredibile, c’è una Guerra Santa alle porte e l’unico modo per restare vivi è rifondare i culti del passato, imparare a eseguire miracoli e riacquisire la conoscenza perduta, perché le donne sulle loro tracce sono tre parti di una dea greca potentissima che desidera vendicare un torto immenso.
L’AUTORE SI PRESENTA
Sono nato a Matera nel 1988 e scrivo sin da quando ero piccolissimo, ma non sono un bambino prodigio. Ci ho messo tanto a capire che quella dell’autore è l’unica strada che mi sento di percorrere, perché anche quando le cose vanno male sono felice di quello che sto facendo.
Solo negli ultimi anni ho scoperto l’esistenza della scienza narratologica e mi ci sono tuffato.
Giro l’Italia il più possibile per portare i miei lavori nelle fiere e questa è la parte più bella: anche con i miei enormi problemi sociali e l’imbarazzo in presenza del pubblico, l’incontro con i lettori vale tutta la fatica.
“Inverti la Morte, se ne sei capace. Io ce l’ho, quel potere, ma non ho il coraggio.”
La Morte degli Dèi è un’allegoria dell’umanità che riflette sulla propria fine e questa frase, questo monito, esprime tutto il senso dell’opera (e anche i lettori stanno gradendo). Mi è piaciuto immaginare che fosse rivolta proprio a tutti noi per dirci: “Tu, essere umano, con tutta la tua arroganza, vuoi cambiare il corso della natura? Puoi farlo, ma non dimenticare che dovrai pagarne il prezzo”.
Senza voler scomodare nulla di estremo come la “Morte” stessa, basta dare un’occhiata alla situazione mondiale dei nostri giorni per domandarsi dove lo troviamo, tutto questo coraggio di torturare il mondo.
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INTERVISTA
Come hai iniziato a coltivare la tua passione per la scrittura?
Non saprei, ho cominciato in terza elementare. Mi piacciono le storie e mi piace narrare, ma quello che più mi esalta è “turbare in senso buono”. Lo sconcerto dei miei lettori mi diverte un mondo, perciò mi rivolgo soltanto a un pubblico dallo stomaco forte.
Hai un ricordo divertente legato alla scrittura che ti va di raccontare?
Be’, un ricordo umiliante: sono un ferreo sostenitore di una narrativa che deve essere perlomeno accettabile, ma in passato è capitato che alcune ragazze con cui flirtavo mi passassero dei loro componimenti per avere pareri. Facevano pietà, ma se gliel’avessi detto non sarebbero uscite con me. A mia discolpa, ne è valsa la pena.
Com’è nata l’idea per questa storia?
Nel 2001 uscì il videogioco che più ho amato in assoluto, “Black & White”. Era un simulatore, quindi non aveva una storia neanche lontanamente adatta a un romanzo. La vicenda di questo libro, però, è qualcosa che mi è rimasta addosso negli ultimi sette anni e che avevo bisogno di raccontare, legata in special modo a una persona a cui ho voluto davvero troppo bene.
Qual è stata la prima fase di scrittura del libro?
Canovaccio e scaletta, si comincia sempre così. È indispensabile per documentazione e struttura, in modo che la stesura possa procedere col minor numero di intoppi. Ci ho messo circa tre mesi a completare questa fase, mentre la stesura di entrambi i volumi ne ha richiesti poco meno di cinque. Direi che sono abbastanza soddisfatto del mio ritmo.